lunedì 2 aprile 2012

Sculture veronesi del Trecento

Il restaurato Redentore benedicente di Veronella
Sarà presentata mercoledì 4 aprile 2012 alle 17,30 al circolo Unicredit di via Rosa 7 l'esposizione «Sculture veronesi del Trecento. Restauri», che si inaugura a Verona nella chiesa di San Pietro in Monastero (via Garibaldi 4). Sarà un'occasione unica per ammirare assieme sculture della grande scuola medievale veronese, comprese quelle concepite per essere viste assieme sullo stesso altare, e poi separate dalle vicende storiche. La mostra sarà aperta fino al 24 giugno 2012, tutti i giorni, lunedì esclusi, dalle 10 alle 18. Ingresso libero. «La mostra», spiega Anna Maria Di Bari della Soprintendenza, «prende spunto ideale dalla mostra “Giotto e il suo tempo” tenutasi nel 2001 a Padova e dal progetto, allora avviato dalla Soprintendenza per intervenire sulle maggiori opere scultoree in pietra, recanti tracce più o meno consistenti dell'originaria policromia, appartenenti a Verona (chiese di Santa Anastasia, di San Nazaro e Celso e di San Zeno in Oratorio) e al suo territorio, come il gruppo della maestosa Crocifissione di Cellore di Illasi e il trittico di Valeggio sul Mincio». Ideata e promossa dal soprintendente Fabrizio Magani e finanziata dalla Fondazione Cariverona, la mostra esporrà sculture restaurate da specialisti esterni o direttamente dal laboratorio di restauro della Soprintendenza, come nel maestoso San Pietro in cattedra appartenente alla chiesa di Santo Stefano (l'unico resto della chiesa di San Pietro demolita dagli austriaci per farci la loro caserma). Per questa mostra è stata restaurata anche la scultura del Redentore e santi vescovi Zeno e Annone della parrocchiale di Veronella. Fa gli onori di casa la Madonna con il Bambino, di proprietà della Fondazione Cariverona, esposta nella chiesa sconsacrata che è sede della mostra. «La mostra intende presentare a un più ampio pubblico alcune selezionate testimonianze relative al significativo e peculiare capitolo della scultura veronese del Trecento», continua Anna Maria Di Bari. «Le opere in mostra sono state interessate, in questi ultimi anni, da interventi di manutenzione, restauro e valorizzazione, diretti e seguiti dalla Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici. Le opere esposte risultano per lo più poco note, in quanto conservate e dislocate in sedi di difficile accesso o in luoghi decentrati e poco frequentati». La scultura veronese del Trecento è meravigliosa. Era l'epoca della Signoria scaligera e degli Ordini mendicanti (francescani e domenicani): per ostentare la potenza e per dar lode a Dio, l'una e gli altri gareggiavano nel commissionare opere d'arte. È la Verona di Cangrande della Scala e di Dante che fa fiorire botteghe di scultori, «tra cui emerge», spiega la studiosa, «la singolare, vigorosa personalità artistica del cosiddetto Maestro di Santa Anastasia, identificato da Mellini in Rigino di Enrico». Un espressionista: basta guardare la Crocifissione di Cellore, che in mostra è ricomposta con il gruppo dello Svenimento della Vergine, prestato dal Museo di Castelvecchio. «Il mondo medievale delle sacre rappresentazioni», aggiunge Anna Maria Di Bari, «pare riflettersi nel potente realismo del Maestro di Santa Anastasia, nella coralità dei gruppi delle Crocifissioni (al Museo di Castelvecchio è ospitata quella proveniente dalla chiesa di San Giacomo di Tomba) e dei Compianti (Caprino e chiesa di San Fermo). In mostra il dramma si stempera in accenti di più pacato lirismo nelle sue due prove giovanili di Veronella e di Riva del Garda. Di altri coevi scultori, attivi nella prima metà del secolo, si possono apprezzare alcune Madonne che offrono emblematiche versioni stilistiche, nella singolare rivisitazione di pregressi stilemi romanici. La chiesa di San Pietro in Monastero della Fondazione Cariverona, sede della mostra, ospita la pregevole effigie della Vergine con il Bambino, che pare un sintomatico esempio dell'incipiente aggiornamento sui moduli del gotico; l'affermarsi della nuova sensibilità si coglie nella ieratica figura del Vescovo Donato, riferibile alla mano di Giovanni di Rigino, scultore attestato da opere autografe, al quale generalmente è stata ricondotta la produzione plastica veronese della seconda metà del secolo. Alla forza trasfusa nella pietra dal Maestro di Santa Anastasia subentra una trattazione più blanda ed elegante delle volumetrie e delle superfici». Apprezzabili, dopo i restauri, le tracce dei colori originali.

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