mercoledì 4 marzo 2015

Arte lombarda dai Visconti agli Sforza

Arte lombarda dai Visconti agli Sforza
Palazzo Reale, Milano
da giovedì 12 marzo a domenica 28 giugno 2015
Per maggiori informazioni visita il sito della mostra.
La mostra che apre il 12 marzo a Palazzo Reale si ispira in modo programmatico, ma criticamente rivisto alla straordinaria esposizione Arte lombarda dai Visconti agli Sforza - allestita nel 1958 nella medesima sede espositiva risanata dopo i bombardamenti del 1943 – che aveva allora riunito oltre cinquecento opere e costituito il punto d’arrivo di una lunga stagione di riscoperte e di studi specialistici.
Stagione iniziata nel 1912 con il monumentale volume La pittura e la miniatura nella Lombardia dai più antichi monumenti alla metà del Quattrocento di Pietro Toesca e proseguita per circa mezzo secolo grazie ai contributi di studiosi italiani e stranieri come Wilhelm Suida, Bernard Berenson, Roberto Longhi. Quella mostra di importanza capitale era, soprattutto, l’affermazione di una identità, la dimostrazione della grandezza di una tradizione culturale e artistica, finalmente liberata – come scriveva Roberto Longhi nell’introduzione al catalogo - “dagli ultimi residui del lungo complesso d’inferiorità che l’ha ostinatamente tenuta in soggezione al confronto d’altre regioni d’Italia”. Era anche il frutto del lungo lavoro di ricerca, di valorizzazione e di restauro del patrimonio artistico ad opera di alcune personalità di alto livello morale e intellettuale, attive negli istituti di tutela cittadini come Fernanda Wittgens, Franco Russoli, Gian Alberto Dell’Acqua, protagoniste, durante la guerra, della difesa del patrimonio milanese e lombardo.
Fortemente promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, coprodotta da Palazzo Reale e Skira Editore, la mostra di oggi ripensa quel progetto nella chiave più pertinente e attuale: quella della centralità di Milano e della Lombardia, alle radici della cultura dell’Europa moderna. Prende in esame lo stesso periodo storico considerato dalla mostra del ’58, dunque i secoli dal primo Trecento al primo Cinquecento: tutta la signoria dei Visconti, poi degli Sforza, fino alla frattura costituita dall’arrivo dei Francesi. Raccoglie i frutti di più di cinquant’anni di studi, che hanno toccato i più diversi settori storici e tecnici, e fatto registrare passi avanti molto significativi nelle conoscenze e anche nella conservazione, nel restauro e nella valorizzazione del patrimonio milanese e lombardo. “Oggi l’arte lombarda della fine del Medioevo e del Rinascimento – affermano i due curatori Mauro Natale e Serena Romano - appare come una realtà storica di grande rilievo internazionale, che estende le proprie diramazioni ai maggiori paesi europei”.

A più di cinquant’anni dall’esposizione di Palazzo Reale, questa nuova splendida mostra propone una rilettura della storia artistica lombarda, riconoscendo nelle aperture e nelle relazioni con gli altri territori una parte sostanziale della sua identità.

I due secoli circa di cui la mostra si occupa sono tra i più straordinari della storia milanese e lombarda, celebrati dalla storiografia e fissati nella memoria comune come una sorta di età dell’oro, il primo momento di compiuta realizzazione di una civiltà di corte dal respiro europeo.

Il percorso della mostra si svolge attraverso una serie di tappe, che costituiscono altrettante sezioni e sottosezioni; l’ordine cronologico illustra la progressione degli eventi e la densità della produzione artistica: pittura, scultura, oreficeria, miniatura, vetrate, con una vitalità figurativa che soddisfa le esigenze della civiltà cortese e conquista rinomanza internazionale al punto da divenire sigla d’eccellenza riconosciuta: l’“ouvraige de Lombardie”.

Dopo una breve sezione introduttiva che include una galleria di ritratti delle due dinastie di grandi committenti, i decenni centrali del Trecento costituiscono la prima sezione espositiva, dedicata a illustrare come i Visconti abbiano impresso una svolta fondamentale alla cultura lombarda, dapprima importando a Milano e in Lombardia artisti “stranieri” - i toscani Giotto e Giovanni di Balduccio - poi aprendo cantieri nelle capitali del ducato, nelle città satelliti, nelle campagne, occupando gli spazi urbani e rinnovando quelli ecclesiastici; fondando biblioteche, come quella di Pavia, che fu una delle più importanti del mondo occidentale e fu poi in gran parte spostata in Francia dopo la conquista del ducato.

Sono qui esposte opere di grandissimo pregio e di svariate ed eccelse tecniche: dipinti su tavola, affreschi, vetrate, sculture in marmo, legno, pietra, oreficeria, miniatura, bronzi, ricami, arazzi come, tra gli altri, i manoscritti Liber Pantheon del 1331 e il Messale – Libro d’ore (1385-1390) appartenuto a Bianca di Savoia, dalla Biblioteca nazionale di Francia; splendide vetrate dalla Chiesa di Santa Maria Matris Domini di Bergamo, uniche del Trecento esistenti in Lombardia; alcune mirabili opere in marmo di Giovanni di Balduccio, del Maestro di Viboldone e di Bonino da Campione provenienti, oltre che dalla Lombardia, da importanti musei europei e americani; disegni, tavole e affreschi di Giovanni da Milano, di Giusto de’Menabuoi, del Maestro di San Nicolò dei Celestini.

Si assiste qui alla trasformazione del linguaggio figurativo lombardo, dapprima ancora legato alla tradizione autoctona, come nella austera ed arcaica Madonna col Bambino del Maestro degli Osii (1330 circa), poi innovato dagli artisti toscani, intrisi di cultura francese.

Una seconda e straordinaria tappa sarà quella degli anni attorno al 1400, dove domina Gian Galeazzo Visconti, personaggio chiave del tardo gotico lombardo: sono gli anni del grande cantiere del Duomo di Milano. La mostra ha voluto rispettare l’integrità delle collezioni del Museo del Duomo, mediante la soluzione di includerne la sezione tardo gotica nel percorso della mostra stessa: un atto di responsabilità solidale, nel momento in cui EXPO 2015 attirerà visitatori nelle mostre e nei musei della città. La Fabbrica del Duomo ha però generosamente accettato di smontare ed esporre alcune statue dei pilastri del Duomo e alcune vetrate, altrimenti difficilmente visibili.

Al volgere del 1400, grazie alla personalità magnetica e intraprendente di Gian Galeazzo, i rapporti della corte milanese con le altre corti e gli altri grandi cantieri europei – specialmente Parigi; ma anche Praga, Vienna, Budapest, le Fiandre – sono strettissimi e contribuiscono alla fioritura di una cultura gotica che rappresenta uno dei punti culminanti dell’esposizione.

I protagonisti di questa stagione sono: Giovannino de’ Grassi e in seguito Michelino da Besozzo: entrambi lavorano al cantiere del Duomo, di entrambi sono esposte opere notevolissime come alcuni preziosi manoscritti – il Taccuino di disegni, l’Offiziolo Visconti e il Landau Finaly 22 di de’ Grassi e il Libro d’Ore di Michelino da Avignone e dalla Morgan Library di New York, prestito eccezionale che non fu concesso nel 1958. Questo straordinario momento creativo corrisponde all’apice del fasto della corte pavese verso la quale convergono artisti di primissimo piano, italiani e stranieri come Jean d’Arbois, Gentile da Fabriano, di cui è in mostra una splendida tavola da Pavia e Pisanello.

Nella terza sezione si passa al lungo regno di Filippo Maria Visconti, molto diverso da Gian Galeazzo, con una personalità nevrotica, non adatta a riunire una vita di corte di qualità. Comincia la crisi del ducato e molti artisti lasciano la Lombardia, disperdendosi. Michelino da Besozzo va infatti a Venezia, Verona e Vicenza, poi rientra a Milano, ma non lavora più per la committenza ducale. In questa sezione domina comunque il linguaggio tardo-gotico con largo uso di materiali preziosi, ori, vestiti sfarzosi, con opere straordinarie: le tavole di Michelino di Verona (Museo di Castelvecchio), di Siena (Pinacoteca Nazionale) e di New York (Metropolitan Museum); magnifici manoscritti di seguaci di Michelino, il bellissimo polittico con Madonna col Bambino, Santo e donatore (1447) di Maestro Paroto, la pregevole scultura in legno Madonna col Bambino (1450 circa) di un anonimo maestro lombardo dalla chiesa milanese di San Tomaso; e ancora pale d’altare, messali, miniature, un prezioso dittico di Francesco Zavattari, ricomposto per la prima volta riunendo le due tavole conservate a Praga e in una collezione privata in Cile; i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo, di cui sarà eccezionalmente ricomposto in mostra il capolavoro costituito dall’Incoronazione del Museo di Cremona e dalle due tavole che l’affiancavano, ora al Museo di Denver; inoltre una serie di opere di alta oreficeria di straordinaria maestria.

Il capitolo successivo, la quarta sezione, mette a fuoco l’importanza capitale dello snodo figurativo che corrisponde alla fine dinastica dei Visconti e alla presa di potere di Francesco Sforza (gli anni intorno al 1450) fino a tutto il periodo di governo di Galeazzo Maria Sforza. Le iniziative di Francesco Sforza si collocano all’insegna della continuità con il passato, ma integrano anche nuove esperienze favorite dalla politica di alleanze sulle quali il duca poggia il proprio potere. Anche il progressivo spostamento della sede della corte da Pavia a Milano, destinata a diventare a breve l’unica capitale stabile del ducato, facilita l’avvento di nuove maestranze e nuove tendenze: il razionalismo figurativo di Vincenzo Foppa che si apre al linguaggio padovano si confronta con il naturalismo di origine fiamminga che filtra da Genova e seduce i signori italiani. E’ il periodo delle grandi botteghe che si spartiscono il lavoro delle grandi imprese decorative al Castello Sforzesco a Milano e a Pavia: Foppa, Bembo, Zanetto Bugatto, Bergognone. Sfilano opere straordinarie come i Santi Stefano e Ambrogio di Donato de Bardi (collezione privata); le splendide tavole di Vincenzo Foppa da Pisa e dalla Pinacoteca di Brera; un magnifico e rarissimo Cristo in pietà tra i santi Ambrogio e Agostino, del Maestro di Chiaravalle; la splendida tavola Madonna con bambino e angeli (1460-70) di Zanetto Bugatto da Villa Cagnola a Gazzada (Varese), finalmente riavvicinata  agli altri elementi che l’affiancavano (Santi ora in collezione privata a New York): il prezioso trittico di Gottardo Scotti (Museo Poldi Pezzoli); una serie di sculture in legno intagliato e dipinto e in terracotta, di un gusto già rinascimentale, anche se fortemente lombardo.

Una quinta e ultima tappa sarà infine dedicata agli anni di Ludovico il Moro e alla spaccatura provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei Francesi: sono anni di cambiamenti radicali nell’urbanistica, nell’architettura e in generale nella produzione artistica grazie alla presenza a Milano di personalità eccezionali come Bramante, Leonardo, Bramantino. In questi anni, malgrado la crisi del sistema politico e la fragilità delle finanze dello stato, le botteghe lavorano a pieno regime: Milano produce ed esporta meravigliosi prodotti di lusso come smalti, oreficerie, ricami eseguiti in gran parte sulla base di progetti elaborati da artisti di primo piano, secondo un procedimento che anticipa quello del moderno “design”. Stimolata dall’ambizione sfrenata del duca, la produzione artistica è sottesa da uno spirito di emulazione/concorrenza nei confronti delle altre corti padane, legate a quella sforzesca da stretti rapporti famigliari oltre che da interessi economici e politici comuni: la sezione prende in esame in modo particolare le relazioni con Ferrara, Bologna, e con Mantova. Vi sono esposte sculture in marmo di Giovanni Antonio Amadeo, importanti tavole di Bernardino Butinone (abitualmente inaccessibili perché di antiche collezioni private), la bella tavola Madonna con il Bambino, santa Dorotea e Caterina, angeli dal Petit Palais di Parigi; vetrate dal Duomo di Milano e alcune tavole di Foppa, tra cui la mirabile Annunciazione (1500 circa) dal Palazzo Borromeo all’Isola Bella (Stresa) e la Madonna in trono con il Bambino e angeli dal Musée des Beaux-Arts di Digione; le due tavole di Bernando Zenale dagli Uffizi; la splendida Madonna e il Salvator Mundi della collezione Borromeo di Bergognone; il celebre manoscritto Ore all’uso degli Umiliati con iconografia da Bergognone, dalla British Library di Londra, mai esposto; e anche qui una serie strepitosa di opere di oreficeria, reliquiari, medaglioni, messali, manoscritti, bronzi, dove emerge con tutta la sua forza la cosidetta arte lombarda. La mostra si chiude con opere che attestano l’impatto avuto in Lombardia da Leonardo e Bramante, con dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio, Ambrogio de Predis, Bernardo Zenale.

Le circa duecentocinquanta opere in mostra sono state selezionate in modo da consentire allo spettatore non solo di apprezzare la preziosità dei materiali e delle forme dei singoli oggetti, ma anche di riconoscerne i legami formali, il linguaggio comune cui fanno riferimento produzioni realizzate con materiali e con procedimenti tecnici distinti.

Una mostra importante e affascinante a un tempo che racconta il ruolo fondamentale che la cultura artistica lombarda ebbe tra il Trecento e il Cinquecento, quando in tutta Europa fu sinonimo di qualità eccelsa e di straordinari talenti.

Nessun commento:

Posta un commento