mercoledì 21 dicembre 2011

Nuovo museo medievale ad Arcidosso

Nuovo museo medievale ad Arcidosso (GR), con la collaborazione dei ricercatori di Archeologia medievale dell’Ateneo fiorentino che stanno realizzando il progetto insieme al Comune del paese alle pendici del Monte Amiata.
Il Museo, che sarà ospitato nella rocca aldobrandesca, aprirà alla fine del 2012 con un percorso di visita del palazzo e una galleria dedicata al paesaggio medievale. Ma già da mercoledì 21 dicembre 2011 è possibile averne una preziosa “anteprima” grazie alla mostra “I nostri antenati/Our ancestors” che presenta i bassorilievi in cera scultorea che verranno fusi per l’esecuzione delle placche in bronzo, previste per accompagnare il percorso di visita della Rocca. Le opere, create dall’artista e designer internazionale Riccardo Polveroni, rappresentano in gran parte personaggi medievali legati al territorio grossetano, fra cui i conti Aldobrandeschi, il condottiero Guidoriccio da Fogliano (che conquistò il castello amiatino per conto di Siena) e Ugo il Grande, marchese di Toscana.
Le opere sono il risultato di un’intensa collaborazione tra l’artista e gli archeologi medievisti dell’Università di Firenze, che hanno curato anche il ricco apparato della mostra che ha fra i suoi obiettivi quello di coinvolgere il visitatore nella progettazione dell’allestimento, secondo gli innovativi principi dell’archeologia pubblica, promossa in campo nazionale e internazionale dagli studiosi dell’ateneo.

I dati e i materiali che saranno esposti nel futuro Museo, cofinanziato dalla Regione Toscana, sono frutto del progetto “Produzione edilizia e gestione del potere nell’Amiata medievale”, condotto dal 2000, con il supporto del Comune di Arcidosso, dai ricercatori di Archeologia medievale dell’Ateneo, guidati da Michele Nucciotti.

L’esposizione “I nostri antenati” - curata da Marianna De Falco sotto la direzione scientifica di Michele Nucciotti - rimarrà aperta presso il Palazzo Comunale di Arcidosso (piazza Indipendenza, 30) fino al 31 gennaio 2012, dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle 14.

lunedì 19 dicembre 2011

I Signori di Ocre: dai Vestini ai Normanni

Presso il Monastero-Fortezza di Santo Spirito del Comune di Ocre in provincia dell’Aquila si è inugurata la mostra archeologica "I Signori di Ocre: dai Vestini ai Normanni", organizzata dall’Amministrazione Comunale in collaborazione con la Soprintendenza per i beni archeologici dell’Abruzzo e il Dipartimento di Storia e Metodologie Comparate dell’Università degli Studi dell’Aquila.
E’ la prima mostra che espone le ricerche archeologici più recenti (anni 2000-2010) provenienti dall’area anticamente occupata dalle popolazioni Vestine nel versante aquilano del Gran Sasso e anche la prima che si inaugura nel territorio del cratere dopo il terremoto del 2009. Il Comitato Scientifico della mostra è composto da Fabio Redi e Alfonso Forgione, docenti dell’Università degli Studi dell’Aquila; Vincenzo d’Ercole e Alberta Martellone, archeologi del Ministero per i beni e le attività culturali. La mostra si articola in due sezioni: nella prima, curata dal Dipartimento di Storia e Metodologie Comparate, sono raccolte e ordinate le testimonianze della vita nel castello e negli annessi; quei reperti, cioè, che tematicamente consentono la ricostruzione dell’immagine storica del castello di Ocre e dei suoi abitanti, dal popolamento del rilievo collinare a partire dall’arrivo dei Normanni conquistatori, al suo abbandono nel corso del XVI secolo, attraverso le distruzioni effettate dagli Aquilani nel 1293 e da Braccio da Montone nel 1423, come ci narra Buccio di Ranallo nella sua Cronaca. Nella seconda sezione, curata dalla Soprintedenza per i beni archeologici dell’Abruzzo, sono esposti 5 corredi funerari provenienti dalla vicina necropoli di Fossa, partendo dalla tomba femminile 135 riferibile alla prima età del ferro, nel cui corredo è presente una caratteristica tazza in bronzo da “sommelier” utilizzata dalle donne Vestine per insaporire ed assaggiare il vino.
Il modo di combattere in linea di fanti armati di lance e pugnali corti è ben espresso dalla tomba maschile 64 riferibile al VII sec.a.C.: nella stessa tomba sono conservati punte in ferro tipiche dei “bastoni da sci” e ganci ad omega che servivano ad allacciare alti scarponi adatti alla guerra in montagna. Il cambiamento avvenuto nel corso dell’età arcaica (VI sec.a.C.) delle tattiche belliche, ben si evince dal corredo maschile della tomba 273 in cui è presente una lunga spada in ferro,del tipo “Capestrano”, funzionale a colpi di taglio fra guerrieri a piedi o a cavallo disposti in ordine sparso. Il costume funerario esclusivo del popolo dei Vestini Cismontani, coloro cioè che abitavano fra L’Aquila e Capestrano nel I millennio a.C., era di seppellire tra 2 coppi sovrapposti, che fungevano da sarcofago, i bambini defunti entro 100 giorni di vita. L’uso dei coppi nelle sepolture dei neonatali, ci testimonia il loro utilizzo come elementi dei tetti delle case, ormai realizzate in muratura. La sepoltura più recente della necropoli di Fossa esposta in mostra è quella della tomba a camera 430 in cui venne deposto un individuo di sesso maschile defunto agli inizi del I secolo d.C. all’età di 62-66 anni.
In una fossa di riduzione scavata ai piedi dell’inumato erano sepolti, ammucchiati, i resti di altri 3 individui (2 donne e 1 uomo) due dei quali deposti sopra altrettanti letti funerari rivestiti in osso. In uno dei due letti, quello più antico, sono ritratti sul “fulcrum” (cuscino) delle lici e dei volti femminili, mentre il cilindro delle gambe raffigura scene di danza fra un giovane eros nudo e figure femminili. L’altro letto, quello più recente, rappresenta nel “fulcrum” il mito di Ercole e leone Nemeo, mentre nelle gambe vi è il volto di una divinità, forse Apollo con un copricapo particolare. In un’altra vetrina sono esposti i reperti provenienti da S.Panfilo d’Ocre e rinvenuti dopo il terremoto del 2009 durante la realizzazione dei moduli abitativi provvisori (MAP) e di una scuola. I materiali testimoniano di una necropoli finora sconosciuta in uso fra il VI e il II sec.a.C.: di grande interesse la lama piegata di una spada in ferro a “codolo” di tipo celtico. Purtroppo le circostanze del rinvenimento e l’assenza di ogni verifica archeologica nel corso dei lavori effettuati dalla Protezione Civile rendono impossibile ulteriori elementi di comprensione storica del sito. L’ultima vetrina del percorso è dedicata a un luogo di culto investigato nel novembre 2008 in località Piè di Colle a Poggio Picenze. Qui sono stati recuperati numerosi reperti archeologici fra cui un volto in pietra di “Attis” , lucerne e ceramica in terra sigillata in uso tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale (I sec.a.C- I sec d.C.).
La mostra contribuisce a qualificare e valorizzare uno dei monumenti più belli significativi della provincia dell’Aquila, il Monastero-Fortezza di Santo Spirito d’Ocre, che può rappresentare un polo di attrazione per il turismo culturale dell’Abruzzo.
La visita è possibile su prenotazione (info Comune di Ocre: 0862751413; Monastero di Santo Spirito: 08621965538) e la mostra resterà aperta fino a dicembre 2012.

lunedì 5 dicembre 2011

Dal Medioevo a oggi: la storia imolese finalmente esposta

Non solo dipinti, ma anche ceramiche, lapidi, monete. Grazie al nuovo percorso espositivo “Collezioni d’arte della città”, il museo di San Domenico può finalmente mettere in mostra centinaia di pezzi inediti. L’apertura alla cittadinanza, prevista per sabato 17 dicembre 2011, consentirà anche di vedere come sono stati recuperati parti importanti dello storico ex convento.
Il recupero. La storia della città raccontata in 600 pezzi che vanno dal Medioevo agli artisti contemporanei. Questo il primo elemento caratterizzante del nuovo spazio espositivo allestito al primo piano del primo chiostro, uno spazio questo rimasto diviso per più di due secoli dal resto del complesso da un muro eretto durante l’occupazione francese. Dal 2000 in poi, a seguito dell’acquisto del Comune dalla Curia, quei locali sono stati sistemati per ospitare in futuro le tante opere d’arte che “gridavano vendetta” nascoste nei depositi. I lavori di riadeguamento architettonico e del nuovo allestimento sono iniziati a febbraio e sono stati preceduti dai lavori di studio e riorganizzazione delle collezioni, con catalogazioni, manutenzioni e restauri condotti dallo staff tecnico-scientifico del museo con l’ausilio di alcuni specialisti esterni.
«Con l’apertura di questo percorso espositivo si chiude il cerchio della triade culturale fondamentale per una città: la biblioteca-archivio, il teatro e il museo - esordisce l’assessore Valter Galavotti -. Più che avere grandi eventi seguiti dai media nazionali, abbiamo preferito concentrarci nel recupero di queste tre funzioni basilari per una città, allocate in due luoghi carichi di storia così vicini tra loro come gli ex conventi di San Francesco e San Domenico».
Il percorso. Rispetto agli anni della Pinacoteca aperta nel 1988, che esponeva circa 100 dipinti, il nuovo percorso è decisamente più vario e ricco e comprende dipinti, sculture, ceramiche, disegni, arredi liturgici, monete e medaglie. Il percorso di visita si snoda all’interno dell’ex convento domenicano, che conserva punti di grande interesse come aperti per la prima volta al pubblico come l’antica sala del capitolo con affreschi del primo ’300, l’ex biblioteca cinquecentesca, il grande dormitorio e i granai. Il nuovo allestimento, costato circa 200mila euro, è stato realizzato dal Comune di Imola, con la collaborazione di Regione, Provincia, Fondazione della Cassa di Risparmio di Imola, e con il sostegno delle ditte imolesi Sacmi e 3Elle.
Per il pubblico l’appuntamento con il nuovo San Domenico è fissato per le 17 di sabato 17. Fino all’8 gennaio l’ingresso sarà gratuito.
Museo di San Domenico
Via Sacchi, 4
40026 Imola
Tel: 0542602609

venerdì 18 novembre 2011

Gli affreschi "giotteschi" di Sant'Orsola

Tornano a splendere gli affreschi “giotteschi” della chiesa di Sant’Orsola in viale Lecco 125, a Como, e sono visitabili fino al prossimo 11 dicembre 2011 al primo piano della Pinacoteca civica di Palazzo Volpi, in via Diaz 84.
La chiesa di Sant’Orsola, dall’interno barocco, ha un’origine ben più antica. Se oggi si varca l’accesso laterale alla facciata, si scopre parte di ciò che rimane della sua fase più remota e che, da poco restaurata, è stata salvata dallo stato di degrado in cui versava.
Negli anni sessanta del Novecento, dalle pareti dell’antica chiesa furono staccate e strappate alcune porzioni di affresco – delle quali è da poco terminato il restauro – rivelatesi, con il susseguirsi degli studi, pregevoli testimonianze artistiche del XIV secolo.
In Pinacoteca, in questi giorni, a far bella mostra di sé sono un Giudizio Universale e un Compianto sul Cristo deposto dalla Croce, opere, come detto, staccate dalla parete occidentale dell’antico oratorio del monastero delle benedettine Umiliate di Sant’Orsola.
Gli affreschi - che rimandano a una bottega dal sapore giottesco riminese, nota nelle nostre zone per i cantieri di Santa Maria dei Ghirli a Campione d’Italia, di Santa Maria Assunta a Brione Verzasca, sempre in Canton Ticino, e della chiesa ora evangelica di Stuls, nel Cantone dei Grigioni - hanno potuto vedere una nuova luce, grazie al contributo dell’Inner Wheel International Club di Como.
Per festeggiare i suoi primi 25 anni di vita, il sodalizio comasco ha stanziato i fondi per concludere un lavoro, iniziato oltre 40 anni fa, quando il pittore Torildo Conconi ricevette l’incarico di staccare gli affreschi di Sant’Orsola. Il lavoro fu, però, svolto dal suo collaboratore Folco Canova che, visti i ristretti spazi in cui operare, frazionò il dipinto in sette parti di varie dimensioni.
I quattro frammenti di superficie maggiore vennero tolti con la metodologia dello strappo, gli altri con la tecnica dello stacco.
I primi furono poi rimontati su un supporto di tela, gli altri ricomposti in casse lignee e annegati in una colata di gesso.
Un successivo intervento di restauro, promosso nel 1993 dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici della provincia di Como, richiese, dopo l’esecuzione di un rilievo grafico del mosaico d’insieme, la completa rimozione dei frammenti dal letto di gesso.
Dopo varie fasi di lavorazione, i frammenti furono ricomposti su un sopporto in vetroresina, costituito da tre pannelli componibili.
L’ultima fase del restauro ha visto la stesura di un intonaco neutro nelle lacune tra i frammenti, al fine di portarli allo stesso livello, prima dell’integrazione pittorica con la tecnica dell’acquerello.
Il risultato, sapientemente ottenuto nel laboratorio di restauro di Leonardo Camporini - sotto la direzione di Daniele Pescarmona, direttore coordinatore della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici della Lombardia - permette di apprezzare un’opera dall’indubbio valore artistico.
Come scrive, infatti, don Fausto Sangiani, parroco di Sant’Orsola, in una pagina del giornalino parrocchiale in distribuzione proprio in questi giorni, citando una segnalazione dell’ingegner Alberto Giussani di inizio Novecento, si tratta di «un affresco interessante per l’iconografia, rappresentando un giudizio universale, e anche per lo stile, risalendo ai primi anni del ’400, nonostante l’opera conservi ancora tradizioni trecentesche».
Fino all’11 dicembre 2011, come detto, gli affreschi saranno esposti a Palazzo Volpi (orari: da martedì a sabato 9.30-12.30/14-17; domenica 10-13).
Poi troveranno una futura collocazione, come spiega lo stesso parroco don Fausto Sangiani, a Sant’Orsola, visto che sono di proprietà della parrocchia che, nel frattempo, ha ultimato il restauro della ex cappella medievale delle monache.
L’intervento di restauro della chiesa ha infatti riguardato l’ex chiesa di un fiorente convento di agostiniane, attraverso la ricostruzione della volumetria dell’edificio sacro, mediante una volta in legno lamellare, trasparente alla luce artificiale.
Gli affreschi saranno collocati in uno spazio già predisposto, unitamente ad altri dipinti già restaurati in parete e ad altri che, invece, necessitano ancora di un intervento di restauro.
«Si tratta, in questo caso, di affreschi più tardi - spiega sempre don Fausto - databili alla fine del ’400 e, per i quali, ci si auspica un intervento finanziario».

lunedì 14 novembre 2011

Il Vangelo secondo Giotto

Oltre sette secoli fa, fra il 1303 e il 1305, Giotto, su commissione del banchiere padovano Enrico Scrovegni, affresca la Cappella intitolata a Santa Maria della Carità. Questa piccola chiesa romanico-gotica, concepita per accogliere lui stesso e i suoi discendenti dopo la morte, è considerata un capolavoro della pittura del Trecento italiano ed europeo e una delle massime espressioni dell’arte occidentale. Gli affreschi, dopo un accurato restauro, sono ritornati all’antico splendore rivelando la bellezza e la genialità della pittura giottesca, che influenzò generazioni di artisti e mutò i canoni stilistici dell’arte italiana ed europea.
Per l'occasione dal 17 novembre al 4 dicembre 2011, il Centro Scolastico Faes Argonne di via Melchiorre Gioia, 42 a Milano ospiterà l'allestimento di una mostra fotografica che riproduce la celebre Cappella degli Scrovegni, portata a termine da Giotto nel 1305.
"Il Vangelo secondo Giotto. La Cappella degli Scrovegni" è il titolo della mostra, promossa dall’Associazione FAES di Milano, prodotta da Itaca Eventi e realizzata con il contributo di Regione Veneto e Consorzio Giotto.
Il ciclo pittorico della Cappella sviluppa tre temi principali, ciascuno in dodici episodi, disposti sulle pareti della navata: la vita di Gioacchino ed Anna, la vita di Maria; la vita, morte e resurrezione di Gesù. Infine lo zoccolo con le personificazioni delle sette virtù e dei sette opposti vizi capitali che conducono rispettivamente al Paradiso e all’Inferno del grande Giudizio universale dipinto sulla controfacciata.
La mostra è una fedelissima riproduzione fotografica, in scala 1:4, delle pareti della Cappella degli Scrovegni dopo i restauri del 2002, a seguito dei quali, per ragioni conservative, è stato ridotto a pochi minuti il tempo consentito per ammirare uno dei capolavori di Giotto. La mostra, quindi, offre l’opportunità di guardare gli affreschi col tempo necessario per cogliere la poesia iconica delle corrispondenze verticali e frontali, del simbolismo dei colori, dei numeri, delle prospettive architettoniche. Giotto, infatti, assieme a Dante è all’apice di una cultura in cui ogni particolare partecipa di un ordine che tutto abbraccia.
La mostra prenderà il via giovedì 17 novembre e avrà una durata di circa 2 settimane: la visita sarà guidata e gratuita, con possibilità di lasciare un offerta libera; sarà possibile partecipare anche a laboratori pensati per le scuole, come "Le pecore di Giotto" rivolto alle scuole materne e primarie. In questo caso, dopo la visita alla mostra, i bambini proveranno a "smontare" una delle scene dipinte da Giotto, con l’ausilio di un puzzle appositamente realizzato. Ciascuno dovrà poi comporre una propria interpretazione di una delle scene viste in mostra. Ci sarà poi "Nella bottega del frescante" per le scuole Secondarie, grazie al quale i ragazzi entreranno nella bottega di un pittore medievale e vedranno i suoi strumenti di lavoro: i pigmenti in polvere, l’oro in foglia, i pennelli, la calce, il gesso, e le preparazioni delle ricette segrete, tramandate da maestro ad allievo. Alla fine si cimenteranno nella preparazione di un cartone e nell’esecuzione dello spolvero, preparatori alla realizzazione degli affreschi.

venerdì 28 ottobre 2011

Il Corpo e il Cosmo

Sabato 29 ottobre 2011 alle ore 17.30, presso la Pinacoteca provinciale di Salerno, sarà inaugurata la mostra “Il corpo e il cosmo. Consigli e rimedi naturali della Scuola Medica Salernitana nelle opere a stampa e nei manoscritti dei secoli XIII – XIX”.
Alla cerimonia interverranno. Gli assessori provinciali, Salvatore Arena e Sebastiano Odierna, il presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Salerno, Bruno Ravera, il dirigente del Settore Musei e Biblioteche della Provincia, Barbara Cussino, il segretario provinciale dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Geatano Ciancio, il responsabile del Servizio biblioteche della Provincia Vittoria Bonani.
La mostra, che rimarrà aperta fino al 4 dicembre 2011, è frutto della sinergia messa in campo tra la Provincia di Salerno, l’Ordine dei Medici e il collezionista Bernardo Altieri. L'iniziativa è dedicata alla Scuola Medica Salernitana e al suo testo di medicina, il Regimen Sanitatis Salernitanum, che più di ogni altro ha rappresentato a livello internazionale lo Studium di Salerno.
La mostra segue le rotte storico-bibliografiche intraprese nel mondo dal Regimen e da altre opere legate al sapere medico salernitano, tracciando una dettagliata e sfaccettata descrizione testuale e bibliografica, supportata dalla ricerca e comparazione delle fonti possedute a Salerno, partendo dal XIII secolo fino ad arrivare al XIX. Il percorso espositivo presenta un notevole numero di libri rari e pregevoli della collezione privata del bibliofilo salernitano Bernardo Altieri, della Biblioteca Provinciale e della Biblioteca "Raffaele Guariglia" di Raito (appartenente alla Provincia di Salerno): ottantuno opere a stampa e 4 manoscritti, un campione ampio e rappresentativo che supera ogni rassegna bibliografica precedente e completa informazioni sulla fortuna editoriale dei trattati medici riconducibili alla Scuola salernitana.
È compreso anche il prezioso manoscritto della Practica brevis di Giovanni Plateario, risalente al XIII secolo. Il codice del magister Platearius, costituito da 60 carte, è un sintetico prontuario di medicina per la cura delle malattie, con finalità pratiche e didattiche.
L'Ordine dei Medici ha sostenuto le spese per la pubblicazione dell'interessante Catalogo, a colori e in duplice lingua (italiano-inglese), in cui viene ripercorsa la felice e fervida tradizione a stampa del Regimen Sanitatis Salernitanum, dalla più antica edizione - quella veneziana del 1500 circa - fino ad arrivare ad una parigina del 1880, nonché di molti altri trattati medici, che subirono l'influenza dei commenti ippocratici e galenici (trasmessi dagli arabi) e del sapere medico espresso dai contributi di Avicenna e Averroè.
L'aspetto didattico della mostra è stato curato dalla referente della Divisione Ragazzi della Biblioteca Provinciale, Cristina Ciancio, che ha avviato una campagna di promozione dell'evento presso le Scuole medie inferiori e superiori di Salerno e provincia, al fine di far conoscere ai giovani studenti l'importanza storica e scientifica dell'Istituzione medievale salernitana.

mercoledì 5 ottobre 2011

Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del '400

Nato a Prato verso il 1457 dalla relazione clandestina di Fra Filippo Lippi con la monaca Lucrezia Buti, Filippo, chiamato Filippino per distinguerlo dal padre, pittore dei più famosi e apprezzati del suo tempo, divenne a sua volta un artista di primissimo livello, cui il Vasari riserva parole di elogio per il "tanto ingegno" e la "vaghissima e copiosa invenzione".
Fin dalle sue prime prove giovanili, attribuite dal grande storico dell'arte Bernard Berenson ad un fantomatico "Amico di Sandro", le sue guizzanti figurine colpiscono per una grazia malinconica, un'inquietudine capricciosa che le differenziano dallo stile del Botticelli. Di quest'ultimo non fu un semplice garzone di bottega ma un collaboratore alla pari, per divenirne poi un rivale temibile nell'ultimo ventennio del quattrocento, apprezzato sempre più dai Medici e dai loro sostenitori come dai seguaci del Savonarola e i repubblicani. Si spiega così perché sia stato chiamato proprio Filippino negli anni ottanta a completare gli affreschi della cappella Brancacci al Carmine, opera di Masolino e Masaccio, pittori venerati, ammirati e studiati da tutti gli artisti allora e nei secoli a venire, oppure gli siano state affidate importanti commissioni disattese da Leonardo come la Pala degli Otto in Palazzo Vecchio (1486) e l'Adorazione dei Magi di San Donato a Scopeto (1496), entrambe oggi agli Uffizi, o, ancora la commissione, nel 1498, più prestigiosa della Repubblica, la Pala della Signoria per la Sala del Maggior Consiglio repubblicano cui, però, non avrebbe dato seguito per i molti impegni e il sopravvenire della morte nel 1504.
Filippino seppe, dunque, essere artista eclettico e versatile più di ogni altro, con commissioni a Firenze e nel suo territorio, ma anche a Lucca, a Genova, a Bologna e a Pavia. Fu inoltre particolarmente innovativo nel campo decorativo e delle arti applicate, come attestano gli affreschi della Cappella Carafa nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva a Roma e della Cappella Strozzi in Santa Maria Novella a Firenze, cicli pittorici in cui la sua fantasia sbrigliata e capricciosa emerge sicura, tanto da farne un maestro di grande modernità.
In tempi recenti il livello qualitativo e l'eccellenza davvero non comune della sua produzione artistica comincia ad essere ritenuta superiore a quella di molte opere ascritte al Botticelli.
La mostra delle Scuderie del Quirinale, Filippino Lippi e Sandro Botticelli nella Firenze del '400, vuole presentare al pubblico i circa trentaquattro anni di attività del maestro, proficui come pochi altri, per quantità e qualità di opere: dalle tavole agli affreschi, ai raffinati disegni su carte colorate, veri e propri capolavori a se stanti. Opere celebri e preziosissime che giungono per l'occasione, come consuetudine per le grandi mostre delle Scuderie del Quirinale, dai più importanti musei di tutto il mondo e da poche, superbe, collezioni private.
Grazie, infine, alla fondamentale collaborazione del Polo Museale Fiorentino, del Fondo Edifici di Culto e grazie al contributo generoso di associazioni private come "Friends of Florence", la mostra offre un'occasione unica per vedere riuniti i capolavori del maestro toscano proprio a Roma dove Filippino ha studiato le antichità e lasciato il ciclo affrescato della cappella Carafa, ripercorrendone la vicenda umana e artistica e offrendo la possibilità irripetibile di confronti con alcune opere del grande Botticelli per cui anche il rapporto con 'l'amico Sandro' risulterà, alla fine del percorso espositivo delle Scuderie, approfondito e illuminato sullo sfondo della Firenze del '400, straordinaria per fervore e innovazione.
5 ottobre 2011 - 15 gennaio 2012 
a cura di Alessandro Cecchi
Via XXIV Maggio 16, Roma

martedì 27 settembre 2011

La storia nel pozzo: ambiente ed economia di un villaggio bizantino in Terra d’Otranto

Mostra di archeologia: La storia nel pozzo: ambiente ed economia di un villaggio bizantino in Terra d’Otranto.
8 ottobre - 25 novembre 2011
MUSA - Museo Storico-Archeologico dell’Università del Salento
Complesso “Studium 2000”, via di Valesio, Lecce.
Verrà inaugurata a Lecce sabato 8 ottobre 2011 alle ore 18:00 presso il MUSA, Museo Storico-Archeologico dell’Università del Salento, la mostra di archeologia medievale e paleobotanica intitolata: La storia nel pozzo: ambiente ed economia di un villaggio bizantino in Terra d’Otranto. 
La mostra curata da Paul Arthur e Girolamo Fiorentino ha lo scopo di illustrare e rendere noti ad un vasto pubblico gli importanti risultati di una ricerca condotta dalle cattedre di Archeologia Medievale e di Paleobotanica dell’Ateneo leccese in collaborazione con le Università di York e di Copenhagen.
L’esposizione è incentrata su un rinvenimento eccezionale effettuato a Supersano (LE) dal prof. P. Arthur e dalla sua équipe durante la campagna di scavo del 2007, condotta grazie anche al contributo finanziario del Comune di Supersano. Qui è stato indagato un pozzo per attingere acqua, con all’interno un deposito di materiali organici, databili al VII-VIII secolo e perfettamente conservati: semi, porzioni di frutto e manufatti lignei, oltre a materiali ceramici. Il pozzo è in un’area occupata in età bizantina da un villaggio scoperto nel 1999. 
La mostra presenterà la vita quotidiana nel villaggio e le attività produttive della comunità ivi insediata. Quindi farà conoscere da vicino il contesto del pozzo e i materiali rinvenuti all’interno di esso, il cui studio ha reso possibile la ricostruzione dell’ambiente e del paesaggio intorno all’antico Bosco di Belvedere. 
L’eccezionale rinvenimento, tra i materiali del pozzo, di vinaccioli non combusti ha consentito lo studio del DNA di questi resti vegetali. Le analisi condotte presso l’Istituto “Ancient DNA” di Copenhagen hanno permesso di risalire alla varietà del vitigno coltivato a Supersano nel Medioevo. La ricerca per la prima volta ha chiarito le modalità di produzione del vino nel Salento durante l’età bizantina. 
Il percorso della mostra sarà articolato attraverso l’esposizione di reperti archeologici e paleovegetali, pannelli didattici e illustrativi e ricostruzioni che riproducono le capanne del villaggio e il pozzo. All’interno della mostra vi sarà anche una postazione con uno stereomicroscopio. Un giovane ricercatore spiegherà al pubblico come si effettua l’analisi dei materiali organici antichi, studio dal quale non si può più prescindere per ricostruire il paesaggio e l’economia del mondo antico. 
La mostra è realizzata dal MUSA, con la collaborazione della Soprintendenza Archeologica della Puglia, nell’ambito del progetto “Dal Salento all’Oriente mediterraneo. Recenti ricerche di storia antica ed archeologia dell’Università del Salento”, cofinanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia. 
Il MUSA, Museo Storico-Archeologico dell’Università del Salento, ha sede a Lecce in via di Valesio, all’interno del complesso “Studium 2000”. 
Inaugurato nel 2007, il Museo universitario espone nelle sue cinque sale, avvalendosi delle più innovative tecnologie di comunicazione, reperti archeologici ma soprattutto ricostruzioni di contesti antichi (calchi, plastici, video) frutto delle ricerche condotte nel Salento e più in generale nel Mediterraneo dall’Università del Salento. 
Info mostra 
La mostra sarà visitabile presso il MUSA dal lunedì al venerdì 9:00-13:30 e martedì e giovedì anche 15:00-17:30. Ingresso gratuito. Per informazioni e prenotazione visite guidate: tel. 0832/294253;   infomusa@unisalento.it.

martedì 13 settembre 2011

Prima e dopo il sisma: vicende conservative dell’arte medievale in Abruzzo

Dal 15 settembre al 9 ottobre 2011
orario: dalle 10:00 alle 19:00. Chiuso il lunedì
Inaugurazione: giovedì 15 settembre 2011, ore 18:00
Centro culturale Altinate/San Gaetano
via Altinate, 71 - Padova
L'ingresso alla mostra è libero.

La mostra fotografica “Prima e dopo il sisma: vicende conservative dell’arte medievale in Abruzzo” vuole documentare lo stato attuale di alcuni monumenti abruzzesi danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009 attraverso un confronto sistematico fra testimonianze fotografiche del pre e del post sisma. L’iniziativa nasce dal progetto di un gruppo di studenti del Corso di Laurea Magistrale in Beni Storico-Artistici dell’Università degli Studi “G. d’Annunzio” di Chieti - Pescara che ha lavorato alla riorganizzazione e alla digitalizzazione dell’Archivio Fotografico del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni.
Tale archivio, secondo per consistenza soltanto a quello della Soprintendenza, comprende 2493 negativi in bianco e nero e altrettanti scatti digitali che, inerenti beni architettonici e storico-artistici soprattutto di età medievale, sono stati realizzati dal 1978 ad oggi.
Per attestare la condizione degli edifici in oggetto prima del tragico evento si è proceduto ad una selezione del materiale conservato in archivio. Questa selezione è stata quindi integrata con fotografie del fondo storico della Fototeca Nazionale di Roma (Istituto Centrale per il catalogo e la documentazione). Il post sisma, invece, è documentato da campagne fotografiche che, appositamente realizzate negli ultimi mesi, sono volte a testimoniare lo stato dei lavori di messa in sicurezza e in alcuni casi di restauro dei siti censiti. Le immagini non fanno che portare alla ribalta il grave stato del patrimonio storico-artistico aquilano ricordando che è indispensabile mantenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica.
Al pari dell’aspetto ricognitivo si intende sottolineare quanto il valore documentario della fotografia diventi centrale all’indomani di tragici eventi, come quello che ha colpito la città de L’Aquila e il suo territorio.
Basterà qui citare il caso del Crocifisso ligneo della Basilica di Collemaggio, proveniente dalla chiesa aquilana di San Biagio, precipitato al suolo da grande altezza e, ovviamente, danneggiato in modo gravissimo.
Ebbene, nell’archivio del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni, è presente un’immagine digitale ad alta risoluzione, l’unica a colori esistente, acquisita in modalità professionale, che sarà un riferimento imprescindibile quando si procederà al restauro dell’opera.
La mostra, infine, ha insito un altro aspetto molto rilevante, ovverosia quello della tutela e della valorizzazione della fotografia che rischia, troppo spesso, di assumere importanza soltanto nei casi in cui le testimonianze storico-artistiche ed archeologiche versano in stati di emergenza.
Tutelarla e valorizzarla, in quanto voce autonoma del patrimonio culturale, è dunque obbligo normativo e premessa essenziale alla sua funzione, seppure parziale, di risarcimento delle perdite.

sabato 10 settembre 2011

Storia e Miti dei Longobardi d’Insubria

Gli storici latini - Velleio Patercolo in testa – li consideravano “un popolo più feroce della ferocia germanica". Ma i Longobardi erano davvero i più crudeli tra i barbari? Il regno che stabilirono in Italia, e che durò due secoli, fu veramente un'epoca così buia come generalmente si crede? E cosa lasciarono Alboino e i suoi discendenti in eredità alle generazioni future, quale fu il loro contributo alla storia e all'identità del nostro Paese e in particolare in quella Lombardia che da loro avrebbe preso il nome? A queste e ad altre domande cercherà di rispondere la mostra “Storia e Miti dei Longobardi d’Insubria”, che sarà allestita dal 1 al 16 ottobre 2011 a Giussano (MB) nella splendida cornice di Villa Sartirana che già lo scorso anno ha ospitato una rassegna di grande respiro sui Celti.
L'esposizione, curata dalla storica Elena Percivaldi e dall'archeologo Cristiano Brandolini con la collaborazione delle associazioni culturali GASAC e Terra Insubre, consentirà di ammirare una settantina di riproduzioni filologicamente esatte di armi, abiti, gioielli e oggetti d'uso dell'epoca longobarda (568-774 d.C.), contestualizzate in un allestimento di grande suggestione. Ad accogliere i visitatori saranno infatti alcuni “longobardi” abbigliati secondo le fogge dell'epoca nella ricostruzione di un contesto tombale corredato dalle famose “pertiche” sormontate da colombe di legno che si ritiene  fossero orientate verso il punto in cui giacevano le spoglie dei guerrieri morti lontano dalla patria.
La mostra è di estrema attualità considerando che l'Unesco ha appena accettato il progetto “I Longobardi in Italia. I luoghi del Potere (568-774 d.C.)” nella lista dei siti Patrimonio Universale dell'Umanità: un evento che interessa Cividale del Friuli, Spoleto, Campello sul Clitunno, Benevento, Monte Sant’Angelo, il complesso di Santa Giulia a Brescia e il sito di Castelseprio (VA),  composto dal castrum e dal complesso monasteriale di Torba.  L'iter si è concluso positivamente a fine giugno, per cui quella di Giussano si annuncia come una delle prime mostre dedicate ai Longobardi dopo lo storico evento.
Il legame dei Longobardi con la Brianza, del resto, è molto profondo: Monza fu infatti, come noto, la residenza estiva della regina Teodolinda (morta nel 627), che vi fece costruire un palazzo e una cappella palatina dedicata al Battista destinata in seguito a diventare il Duomo cittadino e a custodirne le spoglie.  Alla regina, di origine bavarese, è collegata la leggenda – riportata dal cronista trecentesco Bonincontro Morigia – dell'origine del nome stesso di Monza: mentre cavalcava alla ricerca di un luogo consono ad ospitare la basilica, la regina si sarebbe fermata a riposare lungo le rive del Lambro; una colomba apparsa in sogno le indicò il posto con la parola latina modo (qui), Teodolinda rispose va bene (etiam), e fu così che nacque Modoetia.
La  liaison di Monza con i Longobardi è attestata anche dalla presenza all'interno del palazzo regio, tramandata dal cronista longobardo Paolo Diacono,  di un ciclo di affreschi che rappresentavano momenti cruciali della storia del popolo e che raffiguravano, con dovizia di particolari, l'abbigliamento e l'acconciatura tradizionale germanici. Ancora oggi, nella cappella dedicata a Teodolinda che fu affrescata nel Quattrocento dai fratelli Zavattari, si trova il sarcofago dove i resti furono traslati all'inizio del XIV secolo in un sarcofago spostato più volte fino alla posizione attuale. Poco lontano, la celebre Corona Ferrea che, insieme alla chioccia d'argento con sette pulcini, alla croce di Agilulfo, all'Evangeliario e ad altri reperti, costituisce il nucleo più prezioso e spettacolare del Tesoro del Duomo di Monza.
La mostra di Giussano presterà dunque particolare attenzione alle testimonianze archeologiche emerse nel territorio lombardo, in particolare nella non lontana necropoli di Trezzo d'Adda, che ha restituito tra i tanti oggetti due splendidi anelli-sigillo – saranno presenti le riproduzioni perfette – e alcune crocette riccamente lavorate con motivi decorativi a intreccio tipici dell'arte cosiddetta “barbarica” (anch'esse in esposizione). Si potranno ammirare anche spade, umboni di scudo, fibule, finimenti di cinture decorati, le tipiche ceramiche a sacchetto decorate a stampiglia, acciarini con pietra focaia (selce) e esca di accensione (fungo essiccato) e altri oggetti di uso quotidiano.
A illustrare e approfondire i vari aspetti della civiltà longobarda, una serie di grandi pannelli riccamente illustrati che ricostruiranno gli oltre duecento anni della dominazione e le sue molte eredità - da quella mitografica a quella linguistica - utilizzate in seguito dai Visconti e riecheggiate dal Manzoni, nella lotta politica, nella storiografia e nella simbologia araldica. A corredo si terrà un convegno di approfondimento sulla civiltà longobarda nei suoi tratti essenziali e sull'eredità che ha lasciato nella storia, nelle usanze e nell'identità dei nostri territori.  Previsti, come lo scorso anno, anche visite guidate all'esposizione e laboratori didattici diretti alle scuole e un convegno di approfondimento con i curatori, previsto per venerdì 14 ottobre alle 21 e di cui è prevista anche la pubblicazione degli atti.
“Dopo il successo riportato lo scorso anno con la realizzazione dell'evento espositivo dedicato ai Celti – commenta l'assessore alla Cultura Marco Citterio -, anche nel 2011 il Comune di Giussano investe nella riscoperta delle radici del territorio brianzolo, proponendo un articolato percorso storico, culturale ed archeologico dedicato alla riscoperta e conoscenza della presenza del popolo longobardo sul nostro territorio”.

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SCHEDA TECNICA

STORIA E MITI DEI LONGOBARDI D’INSUBRIA
mostra a cura di Elena Percivaldi e Cristiano Brandolini
in collaborazione con GASAC e Terra Insubre

Dove: Giussano (MB), Villa Sartirana (via Carroccio 2)
Quando: dal 1 al 16 ottobre 2011
Orari: feriali 15-18; sabato, festivi e lunedì 3 ottobre: 10-12 e 15-18.30. Lunedì 10 ottobre chiuso.
Ingresso libero

INAUGURAZIONE: venerdì 30 settembre ore 21 
Informazioni al pubblico: Comune di Giussano - Ufficio Cultura, tel. 0362358250

EVENTI SPECIALI:
- Domenica 2 ottobre, ore 16: laboratorio di arcieria per adulti e bambini (in caso di pioggia, spostato a lunedì 3 ottobre stessa ora)
- Venerdì 7 ottobre, ore 21: lettura con Ketty Magni, autrice di “Teodolinda. Il senso della meraviglia”
- Venerdì 14 ottobre, ore 21: conferenza “I Longobardi: alle radici della storia lombarda”. Relatori: dott.ssa Elena Percivaldi

giovedì 8 settembre 2011

Tabule picte. La bottega del pittore medioevale

“Tabule picte. La bottega del pittore medioevale. Mostra di pittura su tavola” è il titolo della settima ed ultima mostra dell’evento estivo “CandelarArte” organizzato dalla Pro Loco di Candelara con il patrocinio del Comune di Pesaro e dell’Associazione “Quartiere n. 3 delle colline e dei castelli”. Dal 9 al 16 settembre 2011, presso la Sala del Capitano di Candelara, verranno esposte le opere su tavola di Giancarlo Cesarini.
L’intento della mostra è di indagare e divulgare i segreti dell’antica tecnica pittorica della pittura medievale e rinascimentale su tavola, per comprendere meglio le opere d’arte ed il lavoro quotidiano dell’artista nella sua bottega. Cesarini con questa mostra vuole illustrare al pubblico la genesi e l’evoluzione della pittura su tavola antica; dalla preparazione della tavola alla riproduzione del disegno attraverso la tecnica dello spolvero, la stesura del colore. A questo proposito sarà allestito un ricco banco didattico dove potranno essere visti una selezione di materiali usati dall’artista medievale nel suo lavoro: penne, carboncini, pennelli (in pelo di coda di scoiattolo), colla di coniglio, pigmenti di colore minerale e vegetale, oltre al bolo, gesso e foglia d’oro utilizzati per realizzare le dorature delle tavole.
La mostra si compone di una bella serie di dipinti, riproduzioni di antiche tavole appartenenti alla scuola italiana (veneti, toscani, riminesi e marchigiani). Giancarlo Cesarini indosserà durante il corso della mostra gli abiti dell’artista medievale. I visitatori potranno vederlo all’opera mentre realizza la riproduzione dello scomparto rappresentante “San Giovanni Battista” appartenente al polittico di “Sant’Emidio” di Carlo Crivelli per il duomo di Ascoli Piceno.

L’
inaugurazione della mostra avverrà venerdì 9 settembre 2011 alle 21.30 sul ponte che conduce al castello di Candelara. Sarà presente l’Assessore alla Cultura del Comune di Pesaro Avv. Gloriana Gambini, l’artista e il prof. Rodolfo Battistini, che presenterà criticamente l’esposizioni.
La mostra rimarrà aperta fino a venerdì 16 settembre con i seguenti orari: dal martedì al venerdì dalle 21 alle 23, sabato e domenica dalle 18 alle 23.

mercoledì 24 agosto 2011

LA SAPIENZA RISPLENDE. Madonne d'Abruzzo tra Medioevo e Rinascimento

Domenica 21 agosto 2011 - Martedì 1 novembre 2011

Da un’epigrafe che leggiamo in calce alla superba Madonna duecentesca di Sivignano, “Nel grembo della Madre risplende la sapienza del Padre”, trae ispirazione il titolo della mostra, curata da Lucia Arbace e da un folto comitato scientifico, nella quale verrà presentato un insieme assolutamente eccezionale di dipinti e sculture lignee di area abruzzese che coprono l’arco cronologico tra la fine del XII e gli inizi del XVI secolo
E’ la certezza che proviene dalla sapienza a stringere un nesso concettuale fra queste superbe raffigurazioni mariane, che fondono il carattere popolare con l’intonazione aulica della regalità di Maria “sedes Sapientiae” e Madre.
Alcune di queste opere non furono indenni dai terribili effetti del terremoto del 2009. Il loro restauro è la prova di come le Soprintendenze d’Abruzzo si siano date da fare per restituire all’antico splendore e alla fruizione del pubblico, un patrimonio d’arte straordinariamente importante e amato, benché ancora troppo poco conosciuto, testimone di una sintesi di influssi di varia origine culturale e di una devozione profondissima, che si manifesta tuttora nelle processioni e nella presenza, in Abruzzo, di una fitta serie di santuari.
La mostra di Rimini comprende una ventina di esemplari di notevoli dimensioni, fra i quali non mancano alcune Maestà più grandi del naturale, che nell’imponenza della rappresentazione e nella smagliante veste cromatica esercitano su qualunque osservatore un indubbio fascino, ed è caratterizzata dal forte accento sul quale si fonda il titolo.
Rispetto alle due edizioni precedente, del Castello di Celano e del Buonconsiglio, questa mette insieme esemplari medievali e rinascimentali, in una continuità sancita innanzitutto dal tema mariano e poi dalla connotazione geografica, che, sul piano stilistico, si riveste di una peculiare intensità; le Madonne con Gesù bambino ostentano infatti una intensa vivacità di affetti, sia quando sono atteggiate alla pensosa severità degli sguardi, sia quando entrano in affabile rapporto con chi le osserva.
Per questa ragione non sono mai “distanti”, perché sono concepite in un dialogo; affermano in tal modo sia la loro umanità, ma nel contempo la loro divinità, segno eloquente di come l’arte popolare sia innanzitutto “arte per il popolo”, intesa per essere capita da una realtà più varia possibile di persone. In tal senso, la rassegna, allestita nelle sale del Museo della Città, è in perfetta sintonia con gli interessi culturali di Rimini e del Meeting per l’Amicizia, in concomitanza con il quale aprirà i battenti il giorno 21 agosto.
L’articolato capitolo della scultura lignea e della pittura abruzzese medievale e rinascimentale rappresenta un fatto d’arte autonomo, pur nelle relazioni che le arti abruzzesi stringono con la cultura figurativa umbra e laziale.
In età medievale sopravvive, almeno sino alla fine del XIII secolo, il substrato bizantino, così influente nell’arte italiana. L’autonomia dell’arte abruzzese viene poi riconfermata nel Rinascimento, momento che assiste alla presenza di artisti del calibro del pittore Saturnino Gatti e dello scultore Silvestro dell’Aquila.
Fra le opere esposte spiccano per la classica severità la Madonna col Bambino di Castelli, che in antico si conservava nella distrutta abbazia di San Salvatore, e la Madonna di Ambro, proveniente in origine da San Pio di Fontecchio, nei pressi dell’Aquila.
La prima è intagliata in due blocchi cavi di legno di noce che conferiscono una consistenza monumentale al compatto gruppo di Maria e di Gesù, ideato per essere collocato su un trono non più esistente. Qui la Vergine sfuma il suo ruolo di regina, descritto dalla splendida corona un tempo ornata di borchie di vetro, in un’espressione confidenziale, mentre il Bambino, a sua volta incoronato, punta verso l’osservatore uno sguardo fermo, leggermente assorto e giudice.
La Madonna di Ambro, così denominata forse da un santuario nei pressi di Ascoli Piceno dipendente da Farfa, fin dalla prima occhiata tradisce un ascendente bizantino. Lo vediamo in ogni dettaglio: dalla sontuosa acconciatura di Maria, ai pendilia, i fili di perle che ricadono come quelli di un’imperatrice di Costantinopoli. Anche qui la ieratica regalità di Maria si addolcisce nella sua maternità, perché questa regina in trono è anche lactans, del latte, e deriva da un’iconografia di radici orientali.
Saranno in mostra, eccezionalmente, anche la Madonna del latte di Montereale nel suo smagliante cromatismo, e la Madonna di Sivignano, riscoperta e “salvata” da Federico Zeri negli anni sessanta del Novecento da un increscioso episodio di vendita clandestina, sventato dagli abitanti di Sivignano che fecero di tutto per nascondere la “loro” Madonna, impedendone così l’alienazione.
Tra i capolavori del Rinascimento non si può dimenticare la Madonna in trono con angeli di Saturnino Gatti, pittore che si innesta nel solco della tradizione del centro Italia, simile nella finezza al Pinturicchio e nell’eleganza ai maestri umbri e laziali del Quattrocento.

Orari da domenica 21 a sabato 27 agosto: tutti i giorni 9,30 - 19,30.
Orari dal 28 agosto al 15 settembre: da martedì a sabato 9.30 - 12.30, 16.30 - 19.30.
Orari dal 16 settembre al 1 novembre: da martedì a sabato 8.30 - 13.00, 16.00 -19.00; domenica e festivi 10.00 - 12.30, 15.00 - 19.00.
Apertura serale: martedì e venerdì di agosto dalle 21 alle 23.
Chiuso i lunedì non festivi

Mostra promossa da: Meeting per l’amicizia fra i popoli, con la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Abruzzo e la Soprintendenza per i beni storici, artistici e etnoantropologici dell’Abruzzo.
In collaborazione con: Museo della città di Rimini, Arcidiocesi di L’Aquila e la Diocesi di Teramo-Atri.
Con l'Alto Patronato della: Presidenza della Repubblica.
Con il patrocinio di: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Regione Abruzzo, Regione Emilia Romagna, Provincia di Rimini, Comune di Rimini.
A cura di: Lucia Arbace.
Comitato scientifico: Lucia Arbace, Marco Bona Castellotti, Anna Colangelo, Mauro Congeduti, Caterina Dalia, Gaetano Curzi, Fabrizio Magani, Franco Marzatico, Graziella Mucciante, Cristiana Pasqualetti, Rosella Rosa, Ernestina Stinziani, Alessandro Tomei, Marta Vittorini.
Catalogo Allemandi.

Progetto espositivo: Aurelio Ciotti.
Informazioni: tel. 0541.783100, mail: madonne.abruzzo@meetingrimini.org, www.meetingrimini.org.

venerdì 5 agosto 2011

I Cavalieri Templari tra mito e realtà

Mostra a cura di Fabio Giovanni Giannini
La mostra è organizzata da Fratres S. Cruciferi (http://www.crociferi.net/)) in collaborazione con l'Associazione Culturale Italia Medievale (http://www.italiamedievale​.org/)
Dopo i roghi di Filippo il Bello i templari sarebbero sopravvissuti prima a Cipro e poi in Cilicia
Le ultime novità con la mostra presso la Società Umanitaria
1 - 17 settembre 2011
I Cavalieri Templari non cessarono di esistere con i roghi voluti dal re di Francia Filippo il Bello e con la soppressione dell'Ordine avvenuta nel 1312, ma sarebbero sopravvissuti in forma organizzata prima a Cipro e poi in Cilicia (l'attuale Turchia sud orientale) durante un regno armeno (piccola Armenia).
L'ultima novità sul più famoso ordine cavalleresco della storia, ancora oggi oggetto di libri e film, viene con la mostra che verrà organizzata alla Società Umanitaria dal 1 al 17 settembre 2011 presso la Sala Facchinetti con speciale conferenza venerdì 9 settembre 2011 (ore 18.00).
La mostra, strutturata su pannelli in una sorta di viaggio guidato, è presentata dalla associazione "Fratres Sancti Cruciferi" presieduta da Fabio Giovanni Giannini, in collaborazione con L'Umanitaria e l'associazione Italia Medievale. Nell'allestimento vengono riprodotti anche documenti della biblioteca nazionale di Francia e Portogallo nonché documenti dell'Archivio Segreto Vaticano. Nel corso della mostra verrà organizzata una vendita di libri con scopo benefico e parte del ricavato sarà devoluto in beneficenza.
Nei molti pannelli di vario formato viene riassunta la storia di 195 anni di attività dei Templari, dalla fondazione alla tragica fine dell'Ordine: un periodo che attraversa l'intera epopea crociata medioevale. Attraverso la mostra si raggiunge una maggiore consapevolezza di ciò che furono i Templari, un Ordine intorno al quale sono sorte molte fantasiose ipotesi che nulla hanno a che vedere con la realtà storica. Nella mostra si potranno ammirare anche la spada, l'elmo e lo scudo di questi famosi cavalieri.
Ma fino a quando i Templari sopravvissero in Cilicia? Nessuno lo può dire con certezza perché non è mai stato ritrovato l'archivio storico dell'Ordine. Fatto sta che il regno armeno di Cilicia ebbe fine con l'invasione dei Mammeluchi nel 1373.
La grande retata dei Templari fu ordinata da Filippo il Bello. Vennero arrestati 546 frati e molti di loro finirono sul rogo con le accuse più tremende: eresia, idolatria, sodomia. Morì bruciato anche Jacques de Molay, l'ultimo Maestro Generale dell'Ordine. I beni dei templari, una enorme fortuna accumulata negli anni grazie alla loro invenzione delle lettere di credito, venne confiscata. Ma un notevole numero di templari riuscì a riparare prima a Cipro e poi in Cilicia. Di quest'ultimo capitolo della loro storia se ne parlerà alla Società Umanitaria nella conferenza del 9 settembre 2011.

Orari: tutti i giorni, dalle 15.00 alle 20.00
ingresso da via San Barnaba 48
Chiostro dei Glicini e Sala Bauer
(info: tel. 02-5796831 oppure: http://ww.umanitaria.it/)

Ingresso libero

giovedì 4 agosto 2011

Restaurato affresco del Quattrocento

Nei giorni scorsi sono stati ultimati gli interventi di recupero e restauro dell’affresco quattrocentesco “Madonna con il bambino, San Michele e San Cristoforo” all’interno del castello di Montemolino. A darne notizia è una nota dell’amministrazione comunale: il borgo medievale della frazione tuderte per tutto il medioevo fu un avamposto difensivo nell’area di influenza tuderte in direzione nord. L’affresco oggetto del recente intervento di restauro fu voluto per difendere il castello: la scelta di erigere questi dipinti sulle porte di ingresso delle città aveva una valenza spirituale contro l’assalto del maligno che in quei tempi si manifestava con il ciclico diffondersi di epidemie. In questo caso la volontà è stata dettata anche da un secondo motivo; recita l’iscrizione che Antonio di Francesco, probabilmente scampato dalla furia delle acque sottostanti del fiume Tevere, per la grazia ricevuta commissionò l’opera, che rappresenta la Madonna in trono col Bambino, alla sua destra, San Michele Arcangelo con ai piedi uno stemma che si pensa possa essere della famiglia Stefanucci e, alla sua sinistra, San Cristoforo.
La presenza di San Michele si spiega invece con il legame della comunità di Montemolino all’angelo-guerriero di Dio al quale, ancora oggi, è dedicata la parrocchiale L’affresco, di indubbia ed eccelsa qualità tecnica che ha consentito la sua conservazione fino ai nostri giorni, è opera di un pittore della metà del XV secolo che ha molto meditato sul capolavoro lasciato da Masolino da Panicale nel 1432 a San Fortunato a Todi. E’ stato attribuito nel 1989 da Filippo Todini al Maestro di Rasiglia, allievo e collaboratore di Bartolomeo di Tommaso anche se oggi, alla luce del recente intervento, sia la qualità esecutiva che stilistica sembrano appartenere a un artista più dotato. Intervento di indubbia valenza conservativa e storica per tutta la comunità tuderte perché si tratta dell’unica immagine sacra del XV secolo arrivata fino ai nostri giorni a difesa dei nostri borghi, senza dimenticare che anche dal palazzo comunale della nostra città all’Ave Maria veniva esposta in quei secoli lontani un’immagine della Vergine su tavola a protezione dei cittadini.
Il restauro è stato realizzato da Luca Castrichini e diretto da Giovanni Luca Delogu della Soprintendenza per i Beni artistici dell’Umbria”