Arte lombarda dai Visconti agli Sforza
Palazzo Reale, Milano
da giovedì 12 marzo a domenica 28 giugno 2015
La mostra che apre il 12 marzo a Palazzo
Reale si ispira in modo programmatico, ma criticamente rivisto alla
straordinaria esposizione Arte lombarda dai Visconti agli Sforza
- allestita nel 1958 nella medesima sede espositiva risanata dopo i
bombardamenti del 1943 – che aveva allora riunito oltre cinquecento
opere e costituito il punto d’arrivo di una lunga stagione di riscoperte
e di studi specialistici.
Stagione iniziata nel 1912 con il monumentale volume La pittura e la miniatura nella Lombardia dai più antichi monumenti alla metà del Quattrocento di Pietro Toesca e proseguita per circa mezzo secolo grazie ai contributi di studiosi italiani e stranieri come Wilhelm Suida, Bernard Berenson, Roberto Longhi. Quella mostra di importanza capitale era, soprattutto, l’affermazione di una identità, la dimostrazione della grandezza di una tradizione culturale e artistica, finalmente liberata – come scriveva Roberto Longhi nell’introduzione al catalogo - “dagli
ultimi residui del lungo complesso d’inferiorità che l’ha ostinatamente
tenuta in soggezione al confronto d’altre regioni d’Italia”. Era
anche il frutto del lungo lavoro di ricerca, di valorizzazione e di
restauro del patrimonio artistico ad opera di alcune personalità di alto
livello morale e intellettuale, attive negli istituti di tutela
cittadini come Fernanda Wittgens, Franco Russoli, Gian Alberto Dell’Acqua, protagoniste, durante la guerra, della difesa del patrimonio milanese e lombardo.
Fortemente promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano, coprodotta da Palazzo Reale e Skira Editore, la mostra di oggi ripensa quel progetto nella chiave più pertinente e attuale: quella della centralità di Milano e della Lombardia, alle radici della cultura dell’Europa moderna. Prende in esame lo stesso periodo storico considerato dalla mostra del ’58, dunque i
secoli dal primo Trecento al primo Cinquecento: tutta la signoria dei
Visconti, poi degli Sforza, fino alla frattura costituita dall’arrivo
dei Francesi. Raccoglie i frutti di più di cinquant’anni di
studi, che hanno toccato i più diversi settori storici e tecnici, e
fatto registrare passi avanti molto significativi nelle conoscenze e
anche nella conservazione, nel restauro e nella valorizzazione del
patrimonio milanese e lombardo. “Oggi l’arte lombarda della fine del
Medioevo e del Rinascimento – affermano i due curatori Mauro Natale e Serena Romano
- appare come una realtà storica di grande rilievo internazionale, che
estende le proprie diramazioni ai maggiori paesi europei”.
A più di cinquant’anni dall’esposizione di Palazzo Reale, questa
nuova splendida mostra propone una rilettura della storia artistica
lombarda, riconoscendo nelle aperture e nelle relazioni con gli altri
territori una parte sostanziale della sua identità.
I due secoli circa di cui la mostra si occupa sono tra i più straordinari della storia milanese e lombarda, celebrati dalla storiografia e fissati nella memoria comune come una sorta di età dell’oro, il primo momento di compiuta realizzazione di una civiltà di corte dal respiro europeo.
Il percorso della mostra si svolge
attraverso una serie di tappe, che costituiscono altrettante sezioni e
sottosezioni; l’ordine cronologico illustra la progressione degli eventi
e la densità della produzione artistica: pittura, scultura, oreficeria, miniatura, vetrate,
con una vitalità figurativa che soddisfa le esigenze della civiltà
cortese e conquista rinomanza internazionale al punto da divenire sigla
d’eccellenza riconosciuta: l’“ouvraige de Lombardie”.
Dopo una breve sezione introduttiva che include una galleria di ritratti delle due dinastie di grandi committenti, i decenni centrali del Trecento costituiscono la prima sezione espositiva, dedicata a illustrare come i Visconti abbiano impresso una svolta fondamentale alla cultura lombarda, dapprima importando a Milano e in Lombardia artisti “stranieri” - i toscani Giotto e Giovanni di Balduccio
- poi aprendo cantieri nelle capitali del ducato, nelle città
satelliti, nelle campagne, occupando gli spazi urbani e rinnovando
quelli ecclesiastici; fondando biblioteche, come quella di Pavia, che fu
una delle più importanti del mondo occidentale e fu poi in gran parte
spostata in Francia dopo la conquista del ducato.
Sono qui esposte opere di grandissimo
pregio e di svariate ed eccelse tecniche: dipinti su tavola, affreschi,
vetrate, sculture in marmo, legno, pietra, oreficeria, miniatura,
bronzi, ricami, arazzi come, tra gli altri, i manoscritti Liber Pantheon del 1331 e il Messale – Libro d’ore (1385-1390) appartenuto a Bianca di Savoia, dalla Biblioteca nazionale di Francia; splendide vetrate dalla Chiesa di Santa Maria Matris Domini di Bergamo, uniche del Trecento esistenti in Lombardia; alcune mirabili opere in marmo di Giovanni di Balduccio, del Maestro di Viboldone e di Bonino da Campione provenienti, oltre che dalla Lombardia, da importanti musei europei e americani; disegni, tavole e affreschi di Giovanni da Milano, di Giusto de’Menabuoi, del Maestro di San Nicolò dei Celestini.
Si assiste qui alla trasformazione del linguaggio figurativo lombardo, dapprima ancora legato alla tradizione autoctona, come nella austera ed arcaica Madonna col Bambino del Maestro degli Osii (1330 circa), poi innovato dagli artisti toscani, intrisi di cultura francese.
Una seconda e straordinaria
tappa sarà quella degli anni attorno al 1400, dove domina Gian Galeazzo
Visconti, personaggio chiave del tardo gotico lombardo: sono gli anni
del grande cantiere del Duomo di Milano. La mostra ha voluto
rispettare l’integrità delle collezioni del Museo del Duomo, mediante la
soluzione di includerne la sezione tardo gotica nel percorso della
mostra stessa: un atto di responsabilità solidale, nel momento in cui
EXPO 2015 attirerà visitatori nelle mostre e nei musei della città. La
Fabbrica del Duomo ha però generosamente accettato di smontare ed
esporre alcune statue dei pilastri del Duomo e alcune vetrate,
altrimenti difficilmente visibili.
Al volgere del 1400, grazie alla
personalità magnetica e intraprendente di Gian Galeazzo, i rapporti
della corte milanese con le altre corti e gli altri grandi cantieri
europei – specialmente Parigi; ma anche Praga, Vienna, Budapest, le
Fiandre – sono strettissimi e contribuiscono alla fioritura di una cultura gotica che rappresenta uno dei punti culminanti dell’esposizione.
I protagonisti di questa stagione sono: Giovannino de’ Grassi e in seguito Michelino da Besozzo: entrambi lavorano al cantiere del Duomo, di entrambi sono esposte opere notevolissime come alcuni preziosi manoscritti – il Taccuino di disegni, l’Offiziolo Visconti e il Landau Finaly 22 di de’ Grassi e il Libro d’Ore di Michelino da
Avignone e dalla Morgan Library di New York, prestito eccezionale che
non fu concesso nel 1958. Questo straordinario momento creativo
corrisponde all’apice del fasto della corte pavese verso la quale
convergono artisti di primissimo piano, italiani e stranieri come Jean d’Arbois, Gentile da Fabriano, di cui è in mostra una splendida tavola da Pavia e Pisanello.
Nella terza sezione si passa al lungo regno di Filippo Maria Visconti,
molto diverso da Gian Galeazzo, con una personalità nevrotica, non
adatta a riunire una vita di corte di qualità. Comincia la crisi del
ducato e molti artisti lasciano la Lombardia, disperdendosi. Michelino
da Besozzo va infatti a Venezia, Verona e Vicenza, poi rientra a Milano,
ma non lavora più per la committenza ducale. In questa sezione domina
comunque il linguaggio tardo-gotico con largo uso di materiali preziosi,
ori, vestiti sfarzosi, con opere straordinarie: le tavole di Michelino
di Verona (Museo di Castelvecchio), di Siena (Pinacoteca Nazionale) e
di New York (Metropolitan Museum); magnifici manoscritti di seguaci di
Michelino, il bellissimo polittico con Madonna col Bambino, Santo e donatore (1447) di Maestro Paroto, la pregevole scultura in legno Madonna col Bambino
(1450 circa) di un anonimo maestro lombardo dalla chiesa milanese di
San Tomaso; e ancora pale d’altare, messali, miniature, un prezioso
dittico di Francesco Zavattari, ricomposto per la prima volta riunendo le due tavole conservate a Praga e in una collezione privata in Cile; i celebri Tarocchi di Bonifacio Bembo, di cui sarà eccezionalmente ricomposto in mostra il capolavoro costituito dall’Incoronazione
del Museo di Cremona e dalle due tavole che l’affiancavano, ora al
Museo di Denver; inoltre una serie di opere di alta oreficeria di
straordinaria maestria.
Il capitolo successivo, la quarta sezione, mette a fuoco l’importanza
capitale dello snodo figurativo che corrisponde alla fine dinastica dei
Visconti e alla presa di potere di Francesco Sforza (gli anni intorno al 1450) fino a tutto il periodo di governo di Galeazzo Maria Sforza. Le iniziative di Francesco Sforza
si collocano all’insegna della continuità con il passato, ma integrano
anche nuove esperienze favorite dalla politica di alleanze sulle quali
il duca poggia il proprio potere. Anche il progressivo spostamento della
sede della corte da Pavia a Milano, destinata a diventare a breve
l’unica capitale stabile del ducato, facilita l’avvento di nuove
maestranze e nuove tendenze: il razionalismo figurativo di Vincenzo Foppa
che si apre al linguaggio padovano si confronta con il naturalismo di
origine fiamminga che filtra da Genova e seduce i signori italiani. E’
il periodo delle grandi botteghe che si spartiscono il lavoro delle
grandi imprese decorative al Castello Sforzesco a Milano e a Pavia: Foppa, Bembo, Zanetto Bugatto, Bergognone. Sfilano opere straordinarie come i Santi Stefano e Ambrogio di Donato de Bardi (collezione privata); le splendide tavole di Vincenzo Foppa da Pisa e dalla Pinacoteca di Brera; un magnifico e rarissimo Cristo in pietà tra i santi Ambrogio e Agostino, del Maestro di Chiaravalle; la splendida tavola Madonna con bambino e angeli (1460-70) di Zanetto Bugatto da Villa Cagnola a Gazzada (Varese), finalmente riavvicinata agli altri elementi che l’affiancavano (Santi ora in collezione privata a New York): il prezioso trittico di Gottardo Scotti
(Museo Poldi Pezzoli); una serie di sculture in legno intagliato e
dipinto e in terracotta, di un gusto già rinascimentale, anche se
fortemente lombardo.
Una quinta e ultima tappa sarà
infine dedicata agli anni di Ludovico il Moro e alla spaccatura
provocata dalla sua caduta e dall’arrivo dei Francesi: sono
anni di cambiamenti radicali nell’urbanistica, nell’architettura e in
generale nella produzione artistica grazie alla presenza a Milano di
personalità eccezionali come Bramante, Leonardo, Bramantino.
In questi anni, malgrado la crisi del sistema politico e la fragilità
delle finanze dello stato, le botteghe lavorano a pieno regime: Milano
produce ed esporta meravigliosi prodotti di lusso come smalti,
oreficerie, ricami eseguiti in gran parte sulla base di progetti
elaborati da artisti di primo piano, secondo un procedimento che
anticipa quello del moderno “design”. Stimolata dall’ambizione sfrenata
del duca, la produzione artistica è sottesa da uno spirito di
emulazione/concorrenza nei confronti delle altre corti padane, legate a
quella sforzesca da stretti rapporti famigliari oltre che da interessi
economici e politici comuni: la sezione prende in esame in modo
particolare le relazioni con Ferrara, Bologna, e con Mantova. Vi sono
esposte sculture in marmo di Giovanni Antonio Amadeo, importanti tavole di Bernardino Butinone (abitualmente inaccessibili perché di antiche collezioni private), la bella tavola Madonna con il Bambino, santa Dorotea e Caterina, angeli dal Petit Palais di Parigi; vetrate dal Duomo di Milano e alcune tavole di Foppa, tra cui la mirabile Annunciazione (1500 circa) dal Palazzo Borromeo all’Isola Bella (Stresa) e la Madonna in trono con il Bambino e angeli dal Musée des Beaux-Arts di Digione; le due tavole di Bernando Zenale dagli Uffizi; la splendida Madonna e il Salvator Mundi della collezione Borromeo di Bergognone; il celebre manoscritto Ore all’uso degli Umiliati con iconografia da Bergognone, dalla British Library di Londra, mai esposto;
e anche qui una serie strepitosa di opere di oreficeria, reliquiari,
medaglioni, messali, manoscritti, bronzi, dove emerge con tutta la sua
forza la cosidetta arte lombarda. La mostra si chiude con opere che
attestano l’impatto avuto in Lombardia da Leonardo e Bramante, con dipinti di Giovanni Antonio Boltraffio, Ambrogio de Predis, Bernardo Zenale.
Le circa duecentocinquanta opere in
mostra sono state selezionate in modo da consentire allo spettatore non
solo di apprezzare la preziosità dei materiali e delle forme dei singoli
oggetti, ma anche di riconoscerne i legami formali, il linguaggio
comune cui fanno riferimento produzioni realizzate con materiali e con
procedimenti tecnici distinti.
Una mostra importante e affascinante a
un tempo che racconta il ruolo fondamentale che la cultura artistica
lombarda ebbe tra il Trecento e il Cinquecento, quando in tutta Europa
fu sinonimo di qualità eccelsa e di straordinari talenti.