Quello che il pittore fiorentino non ha mai fatto quando era in vita, avendo attraversato la Toscana in più occasioni senza però giungere a Lucca, lo farà ora, a distanza di settecento anni, con ciò che di più autentico, vivo e concreto alimenta i nostri giorni: la sua arte. Rivoluzionaria, senza tempo, capace di creare corpi veri e solidi nello spazio pur dipinti su una tavola o su un muro. Proprio come si presenta la Madonna di San Giorgio alla Costa, il capolavoro che il Comitato Nuovi Eventi per Lucca (organismo creato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e dalla Fondazione Ragghianti) porta in città da sabato 4 ottobre 2014, nel giorno della Festa di San Francesco. Giotto in San Francesco, questo il nome della mostra, che vedrà protagonista un'unica opera dell’allievo di Cimabue, in esposizione per due mesi, fino all’8 dicembre 2014, nell'Oratorio di San Franceschetto, annessa al complesso monumentale dedicato al Santo di Assisi.
Giotto, unanimemente riconosciuto come il primo grande iconografo del Santo di Assisi e come il più diretto interprete artistico della poetica di fede, vita e sensibilità dell'Assisiate, realizzò quest’opera, databile intorno al 1295, negli anni della sua giovinezza. Il capolavoro del Duecento, proveniente dal Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze, rimase coinvolto nell'attentato di via dei Georgofili nella notte tra il 26 e 27 maggio del '93. In quell’occasione la Madonna fu trafitta da una miriade di schegge di vetro, iniziando un lunghissimo percorso di restauro, affidato alle abili mani di Paola Bracco dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Oltre a neutralizzare buona parte dei danni provocati dall’esplosione, il restauro riuscì anche a eliminare completamente tutti i deleteri interventi da cui lo strato pittorico originale era stato coperto nei secoli. L’urgenza del restauro è diventata, in corso d’opera, anche l’occasione per una riscoperta e un approfondimento degli studi intorno ad uno dei capisaldi della pittura giottesca: uno dei recuperi più affascinanti e insperati, quasi un restauro di rivelazione alla “vecchia maniera”, comunque suffragato dal dispiego eccezionale di metodi di indagine modernissimi. Solo una piccola fenditura, nella spalla di un angelo “reggicortina”, è stata lasciata volontariamente a ricordare i tragici eventi di cui la tavola è stata ad un tempo testimone e vittima. Anche il supporto ligneo fu recuperato e risanato, sempre nei laboratori dell’Opificio, da Ciro Castelli, autore di vari e autentici miracoli ascrivibili alla storia del restauro moderno. Da quel giorno di maggio del 1993, la tavola più volte è stata richiesta da importanti musei d’Europa e d’Oltreoceano, ma per il nostro Paese, questa di Lucca è l’occasione per rivederla in tutto lo splendore dei colori ritrovati e in un luogo che ne esalterà la bellezza. A dicembre, infine, terminata l'esposizione in San Franceschetto, l’opera tornerà “a casa”, nel Museo Diocesano di Firenze, che riaprirà finalmente le sue porte dopo anni di forzata chiusura.
Giotto, unanimemente riconosciuto come il primo grande iconografo del Santo di Assisi e come il più diretto interprete artistico della poetica di fede, vita e sensibilità dell'Assisiate, realizzò quest’opera, databile intorno al 1295, negli anni della sua giovinezza. Il capolavoro del Duecento, proveniente dal Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze, rimase coinvolto nell'attentato di via dei Georgofili nella notte tra il 26 e 27 maggio del '93. In quell’occasione la Madonna fu trafitta da una miriade di schegge di vetro, iniziando un lunghissimo percorso di restauro, affidato alle abili mani di Paola Bracco dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Oltre a neutralizzare buona parte dei danni provocati dall’esplosione, il restauro riuscì anche a eliminare completamente tutti i deleteri interventi da cui lo strato pittorico originale era stato coperto nei secoli. L’urgenza del restauro è diventata, in corso d’opera, anche l’occasione per una riscoperta e un approfondimento degli studi intorno ad uno dei capisaldi della pittura giottesca: uno dei recuperi più affascinanti e insperati, quasi un restauro di rivelazione alla “vecchia maniera”, comunque suffragato dal dispiego eccezionale di metodi di indagine modernissimi. Solo una piccola fenditura, nella spalla di un angelo “reggicortina”, è stata lasciata volontariamente a ricordare i tragici eventi di cui la tavola è stata ad un tempo testimone e vittima. Anche il supporto ligneo fu recuperato e risanato, sempre nei laboratori dell’Opificio, da Ciro Castelli, autore di vari e autentici miracoli ascrivibili alla storia del restauro moderno. Da quel giorno di maggio del 1993, la tavola più volte è stata richiesta da importanti musei d’Europa e d’Oltreoceano, ma per il nostro Paese, questa di Lucca è l’occasione per rivederla in tutto lo splendore dei colori ritrovati e in un luogo che ne esalterà la bellezza. A dicembre, infine, terminata l'esposizione in San Franceschetto, l’opera tornerà “a casa”, nel Museo Diocesano di Firenze, che riaprirà finalmente le sue porte dopo anni di forzata chiusura.
Nessun commento:
Posta un commento